mercoledì 23 novembre 2011

Anche gli sceicchi piangono di Gianni Puca

Armando è un non vedente, di professione tifoso del Napoli. Lui da giovane ci vedeva e aveva anche un lavoro. Ha visto i due scudetti, la coppa UEFA, la Supercoppa e, come lui ricorda ogni giorno, cantando: “Ho visto Maradona, uè, mammà, innamorato son”. Lui faceva il guardiano, poi – per evidenti ragioni dovette lasciare il posto, perché da un momento all’altro non ci vide più. Era l’anno del Napoli di Boskov; quando Armando vide Imbriani e Agostini in attacco decise quasi volontariamente di non vedere più nulla del mondo e di conservare negli occhi le immagini dei tempi d’oro. Da allora Armando continua ad andare tutte le domeniche allo stadio, anche se non vede. Lui ascolta i suoni, i rumori, e dai rumori ricostruisce le immagini. Un amico gli ha regalato un accredito in tribuna autorità, è seduto accanto allo sceicco quando nell’aire vengono scolpite le note dell’inno di Handel. Lo ha intuito dai profumi orientali delle decine di mogli che lo accompagnano. Nella ressa, prova a fare la mano morta ad una a caso delle sceicche, ma non saprà mai che purtroppo ha beccato proprio il sedere dello sceicco, che pure indossava una lunga veste. La musichetta della Champions gli fa venire da piangere, così come la formazione del City: Dzeko, Balotelli, Silva, Tourè, e in panchina tengono pure Aguero e Nasri. Addirittura Tevez è fuori per motivi disciplinari. A Napoli giocherebbe pure se avesse rapinato il monte di pietà! Quando al termine della musichetta i centoventimila del San Paolo urlano “Chaaaampioooons” trema tutto. Soprattutto trema il cuore di Armando, che sente che un paio dei suoi by-pass, applicatigli ai tempi di Salvatore Naldi, sono finiti nel settore distinti. Armando sente la gente che dice: “Guarda che spettacolo in curva A, guarda che bella la coreografia in curva B, guarda nei distinti… Che bello!” Lui avrebbe risposto: “Ma che debbo guardare, non lo vedi che sono cieco?” se non fosse che i napoletani riescono a guardare anche senza vedere. Armando ha le lacrime agli occhi, come quando Carnevale segnò con la Fiorentina, su assist di tacco di Giordano. Come quando Baroni si librò nell’aire contro la Lazio, quando Maradona e Careca smontarono mezza Germania per portare a Napoli l’unico trofeo europeo. La partita non è ancora cominciata, ma già essere qui è una vittoria. Con i soldi che gli sceicchi hanno speso per fare questa squadra, si potrebbe costruire un’altra Napoli, con due Vesuvii e tre golfi, sei Maschi Angioini e dodici Palazzi Reali. Ma Davide non aveva paura di Golia, Totò sconfisse Maciste e anche i puffi hanno sempre beffato Gargamella. Fa freddo al San Paolo, ma nessuno sente freddo, su ogni seggiolino ci stanno almeno due tifosi. Ogni padre ha portato almeno un figlio. I spettatori paganti sono circa sessantamila, i non paganti saranno almeno il doppio. Quando lo stadio canta: “Chi non salta rossonero è” (sì, perché il Manchester oggi ha fatto il madornale errore di indossare i colori dei nostri più acerrimi nemici) trema tutta Napoli. Dalla Gioia! Quando Lavezzi, in un imprecisato minuto del primo tempo, va a calciare dalla bandierina, ad Armando torna alla mente un immagine: “Diego che a Torino batte un calcio d’angolo che diede inizio alla storia. Allora fu Bruno Giordano che colpì al volo quel pallone che gonfiò la rete di Tacconi e il petto dei napoletani. Questa volta è Edinson Cavani a volare più in alto dei grattacieli arabi, e fa saltare letteralmente lo stadio dalle fondamenta. Il boato del San Paolo è avvertito fino a Torino, dove erano già tutti a dormire. Armando non può vedere, ma ha ovviamente capito cosa è successo. Urla: “goooal… goooaaal... goooaaal” per più di un quarto d’ora, e corre sui seggiolini della tribuna, pestando pure i piedi allo sceicco. Quando lo speaker ripete all’infinito: “Edinson” e il pubblico risponde “CA-VA-NI” Armando si ricorda dell’ultima volta che ha fatto l’Amore con sua moglie. Ormai ha un’età e manco con le pillole blu riesce a… Ma non ricorda praticamente da mai un orga… un’organizzazione di gioco del genere. Il Napoli sta schiantando il City! Non lo può vedere ma lo sente. Lui, per sua fortuna, non ha potuto vedere chi ha ciccato il rinvio in area, servendo Silva, il cui tiro è stato respinto da De Sanctis sui piedi di Balotelli. Ma lui sa leggere anche il silenzio. E quel silenzio surreale, che gli ricorda quello che seguì il goal del maledetto avvoltoio madrileno, è interrotto da una bestemmia di 31 minuti, che è continuata durante l’intervallo e che aveva un unico destinatario: Salvatore Aronica! Armando è di Acerra e, quindi, del contenuto della sua filippica i presenti in tribuna hanno capito tanto quanto lo sceicco, le sue mogli e i tifosi inglesi assiepati nel settore ospiti, che pure hanno udito una voce che forte e poco chiara si stagliava nel cielo e faceva tremare pure il vento. Quando Il Pocho, servito da Dossena, ha messo il pallone al centro per Cavani è venuto giù tutto. È venuto giù un ventennio di sofferenze, di attese disattese, di sogni vestiti da incubi. Un ventennio di Agostini, Imbriani, Calderonni, Prunierri, Varricchi, Ignoffi, Cupi, Lacrimini, un ventennio di Mondonichi, Bortolinimutti, di Renziulivieri e di Galeoni affondati. È venuto giù lo stadio, sono venute giù le lacrime dello sceicco, sono venute giù le lacrime delle mogli, che quando il Manchester perde già sanno che per una settimana non si tromba, quantomeno non con lo sceicco. È venuto giù Armando, che da ieri ancora corre come un pazzo per tutto il campo, balla intorno alla bandierina come Juary, fa le capriole come Asprilla, il trenino come Protti, culla un bebè come Bebeto, anche se suo figlio ha ormai quarant’anni e si tuffa in una pozzanghera come Maradona. E ora è ancora lì disteso sull’erba a guardare il cielo. Lui non può vederlo, ma sente che non è mai stato così azzurro. Gianni Puca

lunedì 21 novembre 2011

Napoli-Marchetti 0-0 di Gianni Puca

“Diego, vogliamo andare… alle giostre stasera?”, chiede Gianni al nipotino di sei anni, facendogli l’occhiolino. “Ahò, zio, non ti far sentire da babbo che mi chiami così. Lo sai che se ‘ncazza quando mi chiami Diego”, replica a bassa voce il bambino. “E ma io non ce la faccio a chiamarti Francesco, è più forte di me. Ti raccomando, mettiti la maglietta del Pocho che ti ho regalato e mettiti il maglione sopra, sennò chi la sente tua madre! Ma tu guarda che disgrazia, non bastava una sorella milanista, no… pure un cognato romanista mi doveva capitare. Ma almeno questa povera creatura innocente la debbo salvare. I milanisti si debbono estinguere e pure i romanisti”. “Ma contro chi giochiamo stasera?”, chiede il bambino mentre parcheggiano a metà strada tra l’Edenlandia e lo stadio San Paolo. “Con la Lazio. Ti sono piaciuti i dvd di Maradona che ti ho regalato al compleanno?” “Sì, ma li ho dovuti vedere a casa di nonno Gennaro, li tengo nascosti lì. Nun sia maje mi vede babbo mi manda all’asilo dalle suore”. “E tu non farglieli vedere. Anche i cristiani sono stati perseguitati dai romani. Ma la Fede è Fede, e quella azzurra non si può sconfessare. Tu sei nato a Napoli, sebbene da padre romanista e madre milanista, e quindi hai sangue azzurro che ti scorre nelle vene. E sei nato lo stesso giorno di Marek Hamsik”. Il primo tempo scorre via lento e sonnacchioso. Il risultato è ancorato sullo zero a zero; Gianni guarda il nipote e, sconsolato esclama: “Eh, si sente la mancanza di Britos”! Nel secondo tempo Reja, passa dall’8-1-1 al 10-0-0. Oronzò Canà, in tribuna, prende appunti per il prossimo film e un’illuminazione lo coglie improvvisamente: anche la sua Longobarda giocherà con la trizona, con Crisantemo unica punta e Speroni e Aristoteles terzini di fascia. Nel secondo tempo, la partita sembra una partita di squash tra Lavezzi e Marchetti, dove il portiere laziale fa la parte del muro. Diego, anche se ha solo sei anni, ha già quattro anni di militanza in curva B e nella curva romanista, quindi ha assimilato un vasto campionario di imprecazioni napoletane e romane. Al tiro di Lavezzi al 94’, dopo la parata surreale di Marchetti. crea una mala parola che è una perfetta sintesi tra le culture dei due popoli, entrambi nemici dei laziali. Al momento del goal annullato da Rizzoli a Cavani, il bambino, incuriosito dalle urla dei tifosi, chiede allo zio cosa vuol dire che l’arbitro tiene le corna. Gianni gli spiega che gli arbitri, per natura, nascono con delle protuberanze ossee, come gli stambecchi, i cervi, i cosmoceratopi. A differenza di questi ultimi, che hanno quindici appendici ossee, gli arbitri ne hanno due. Il bambino lo guarda smarrito. Lo zio intuisce di aver utilizzato dei termini troppo scientifici e sintetizza e semplifica il concetto: “Diego, mò sei troppo piccolo per capire, ma se da grande incontrerai una donna di non irreprensibili costumi morali, stai ben sicuro che il marito fa l’arbitro”.