martedì 19 aprile 2011

Non finisce qui... di Gianni Puca

ENNESIMO CAPOLAVORO CHE NON POSSO FARE A MENO DI RIPORTARE QUI.
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IL CIUCCIO CHE VOLA
Non finisce qui...di Gianni Puca, pubblicato su www.pensieroazzurro.com

Tonino, di mestiere, fa il tifoso del Napoli. E’ disoccupato dalla nascita. I genitori, entrambi in possesso di una discreta pensione, gli passano ancora la paghetta ogni settimana, sebbene compia quarant’anni oggi. La sua stanza, interamente tinteggiata di azzurro, è tappezzata dai poster di Maradona, Careca, Giordano, e di tanti altri campioni azzurri. C’è solo un immagine apparentemente non a tema, un poster di Eva Erzigova, nuda. Ma un motivo c’è: lei ha gli occhi azzurri!
Tonino ha vissuto i momenti più felici dei suoi primi quarant’anni nell’era Maradona. In quei fantastici sette anni, la sua settimana tipo, a differenza di quella della gente normale, iniziava di domenica e aveva un andamento strettamente connesso al risultato del Napoli. Se il Napoli vinceva trascorreva la domenica sera davanti alla televisione a guardare tutte le trasmissioni sportive, da quelle nazionali a quelle locali, riempiendo gli spazi vuoti a studiare le pagine del televideo della prossima avversaria. Cosa che aveva fatto pure questa settimana, leggendo quotidianamente il bollettino medico riguardante Sanchez e Di Natale. Il lunedì mattina era tradizionalmente rivolto alla lettura: corriere dello sport e pagina sportiva del Mattino, mentre il pomeriggio era dedicato al lancio di tricchitracchi usati e fialette puzzolenti in tutti gli esercizi commerciali dei napoletani di fede diversamente azzurra. Il martedì allenamento. No, lui non ha mai praticato sport in prima persona, ma viveva ogni partita del Napoli, che fosse Real Madrid – Napoli o Napoli – Cittadella come fosse la partita della vita. Nei sette anni magici, al Centro Paradiso ha collezionato più presenze del suo Idolo. Il calendario settimanale prevedeva studio della tattica il mercoledì, macumbe sul centravanti avversario il giovedì, ritiro spirituale il venerdì, e il sabato dal barbiere. Trascorreva giornate intere dal barbiere, ma senza mai farsi la barba e senza mai tagliarsi i capelli. E’ un fatto notorio che i massimi esperti di calcio si incontrano dal barbiere, e lui ascoltava ogni sabato i vari opinionisti, ex calciatori di quarta categoria, padri di nuove promesse del calcio mondiale.
Quando il Napoli perdeva, o anche pareggiava, entrava letteralmente in coma e si risvegliava solo il giorno della vittoria successiva.
Il periodo iniziato con Agostini e Imbriani, passando per la coppia Naldi – Corbelli, fino al fallimento del Napoli, che lui faceva coincidere con quello della sua vita, si può sintetizzare in un’unica interminabile e irripetibile bestemmia.
Poi arrivò De Laurentiis. E arrivarono anche Lavezzi, Hamsik, dopo qualche anno Cavani. Dopo anni di mortificazioni e di delusioni, Tonino aveva ritrovato il sorriso e aveva cominciato a covare un sogno. E lui era assolutamente certo che quest’anno sarebbe stato quello buono. Non poteva dire buono per cosa, ma di sicuro era l’anno buono. Dall’inizio del campionato, aveva iniziato a dipingere la facciata di casa sua. Poche pennellate al giorno. Il colore è inutile che ve lo precisi, non sarebbe potuto essere un colore diverso da quello della sua fede. I lavori erano terminati nella settimana in cui il Milan ha pareggiato in casa col Bari e perso a Palermo. E sembrava un segno del Destino. Il pomeriggio in cui il Napoli, vincendo a Parma, aveva momentaneamente agganciato il Milan in vetta in attesa del posticipo, aveva giurato che se succedeva il Fatto avrebbe tinteggiato di azzurro tutta Piazza Plebiscito. Palazzo Reale, la Chiesa di San Francesco di Paola e il colonnato dorico sarebbero diventate interamente azzurre. Al posto delle statue di Carlo di Borbone e di Ferdinando I, avrebbe messo quelle di Cavani, Lavezzi e Hamsik, assolutamente certo che neppure il Canova si sarebbe offeso.
Per la prima volta in vita sua, si era anche innamorato. Era capitato, manco a farlo apposta, all’inizio del campionato, e sempre manco a farlo apposta, di una ragazza con gli occhi azzurri.
Pensava che troppa felicità sarebbe stata insostenibile dal suo cuore poco avvezzo a tali tipi di emozioni. Ma il Napoli vinceva quasi tutte le partite, spesso all’ultimo minuto, e lui era sempre più innamorato, di Cavani, Lavezzi, Hamsik e di Lei, che era una delle quattro cose azzurre più belle del Creato, a pari merito con il mare, il cielo e la maglia del Napoli.
Quando chiudeva gli occhi, anche il buio gli sembrava ormai azzurro, come i sogni, come i suoi pensieri. Quando li riapriva si perdeva negli occhi di Lei, nelle finte di Lavezzi, nei goal di Cavani, negli assist di Hamsik. La sua era ormai una particolare forma di daltonismo, che gli faceva vedere tutto il mondo azzurro.
Il giorno prima di Napoli – Udinese, dopo aver letto che Sanchez e Di Natale avrebbero disertato quella che era la partita che più gli faceva paura, aveva avuto la matematica certezza che Dio fosse tifoso del Napoli. I colori delle quattro cose più belle del Creato lo confermavano. E così, nottetempo, dopo aver assistito al definitivo tracollo dell’Inter, che lo spaventava più del Milan, aveva cominciato a dipingere il colonnato d’azzurro.
La mattina dopo aveva chiamato un architetto perché voleva cominciare a progettare un futuro insieme a Lei. Aveva trovato addirittura un lavoro. Era stato appena assunto da una ditta che vendeva caffè borghetti all’interno dello stadio San Paolo. Il sogno della sua vita. Aveva presentato l’architetto a Lei, e aveva dato loro carta bianca. In paese lui era considerato uno degli architetti più in gamba, anche se era juventino.
La domenica l’aveva trascorsa interamente a domare il cavallo dei suoi pantaloni, che - imbizzarritosi a seguito delle troppe imprudenti dichiarazioni dei tuttologi – aveva cominciato a grattarsi da solo. I sapientoni, che avevano sempre detto che il ciuccio aveva la coperta troppo corta per poter sognare, ora pensavano che senza i due attaccanti titolari l’Udinese avrebbe perso certamente. I giornali settentrionali avevano addirittura messo in dubbio il leale svolgimento della gara, considerato anche che il giocatore più rappresentativo dei friulani pare sia stato già acquistato dal Napoli e l’unica punta è ancora di proprietà del Napoli.
Tonino, sebbene si fosse precipitato al botteghino, il primo giorno in cui erano stati messi in vendita i biglietti, non era riuscito a trovare manco un tagliando di curva inferiore. Così era stato costretto a seguire la partita da casa, rinchiuso come un leone in gabbia. Per tutto il primo tempo aveva passeggiato nervosamente sul divano. Poi, in un imprecisato minuto del secondo tempo, era rimasto immobile, sempre in piedi sul divano, a fissare un’immagine di quelle che mai avrebbe voluto vedere nella sua vita.
Gokhan Inler, è un validissimo centrocampista accostato al Napoli sin da quando era in fasce. Pare che addirittura Ferlaino lo avesse visionato durante una partitella ai tempi delle elementari e lo aveva opzionato, offrendo in cambio al preside grembiulini nuovi per tutta la scuola. Poi, per una serie imperscrutabile di disegni molto poco divini, l’acquisto era stato postergato di anno in anno. La mancata esultanza del mediano che da solo ha demolito il centrocampo azzurro, è forse la prova che l’acquisto è ormai cosa fatta. Ma l’immagine di quel pallone incastonato tra l’incrocio dei pali e i sogni di settantamila spettatori, più quelli di altri seimilioni di malati che non avevano trovato posto sugli spalti, fa fermare il cuore di Tonino.
La speranza, si sa, è sempre la penultima a morire, ma quando sul cross di Armero, German Denis stoppa il pallone di petto, una serie di immagini catastrofiche si susseguono nella mente dei napoletani. Tutti, e sottolineo tutti, pensano ancor prima che l’argentino scocchi il tiro ad Altafini. Anche quelli che a quell’epoca manco erano nati. Tutti. E sottolineo tutti, capiscono perché Sanchez e Di Natale si sono infortunati contemporaneamente, per la prima volta, proprio in quella settimana. Quando il Tanque - che ha ispirato la creazione di centinaia di nuovi tipi di bestemmie ai tifosi partenopei nei suoi anni di permanenza all’ombra del Vesuvio - ha calciato al volo quel pallone piovuto dalla sinistra, tutti, e sottolineo tutti, hanno pensato che quel pallone non sarebbe finito lì dove finivano il 97,8% dei palloni che l’argentino riceveva solo davanti al portiere quando indossava la maglia azzurra. No, tutti, ottimisti e pessimisti, sapevamo ancor prima che il novello core ‘ngrato colpisse il pallone al volo di destro (dopo aver provato ad impallinarci nel primo tempo di sinistro) che quel pallone avrebbe perforato il cuore di sei milioni di malati, causandone la morte sportiva.
Nello stesso preciso istante che il pallone gonfiava la rete, sul cellulare di Tonino arrivava un sms. Ma non era un messaggio di sfottò del solito stronzo milanista, no. Era molto peggio. Era il messaggio con cui Lei gli chiedeva scusa perché quella domenica aveva scoperto di essersi innamorata dell’architetto e che sarebbero andati a vivere a Firenze. Con uno juventino! Quella doppia tragedia, era ciò che di più terribile potesse capitare ad un napoletano.
Tonino era rimasto impietrito come gli abitanti di Pompei durante l’ultima eruzione del Vesuvio. Il Milan era ormai a sei punti e Lei era in treno in viaggio verso Firenze. Con uno juventino!
Lui, però, seppur morto, pensava che però se il Milan domenica perdesse a Brescia…e se Lei scoprisse che l’architetto, in realtà, è gay… Cazzo, il 97,3% degli architetti sono gay… perché proprio lui…invece…?
Tonino osserva il pubblico napoletano che, sportivamente, si alza in piedi ed applaude la squadra, che – comunque vada il campionato – ha regalato delle emozioni fantastiche ai propri tifosi. Lui vorrebbe alzarsi in piedi, anche se già è in piedi, ed applaudire anche Lei, che comunque, in quei mesi, gli aveva regalato le emozioni più magiche della storia delle emozioni da quando l’uomo ha inventato le emozioni. Per la prima volta lui aveva assaporato la felicità. Aveva pensato che il suo cuore era troppo debole per poter metabolizzare contemporaneamente quelle due Gioie così grandi. Ora pensava che era troppo debole per sopportare quelle due delusioni così grandi.
Ma pensava che, in entrambi i casi, era stato meraviglioso finché era durato, e pensava che però le favole finiscono solo quando uno smette di crederci. Soprattutto quelle azzurre…
E lui chiude gli occhi e continua a vedere tutto azzurro e, con l’ultimo filo di voce, grida in falsetto: “Non è ancora finita…”