giovedì 29 settembre 2011

Gli Implacabili di Gianni Puca

Gianni e Marcello sono due bagarini professionisti. Hanno cominciato a bagarinare dai tempi dei Mac π, al liceo, per poi specializzarsi per grossi eventi, musicali e sportivi. Ai tempi di Maradona, con i biglietti del Napoli avevano fatto affari d’oro, poi con l’avvento di Agostini e Imbriani e successivamente di Totò Naldi e Corbelli avevano pensato addirittura di trovarsi un lavoro. Per fortuna, tra i concerti di Gigi D’Alessio, Vasco Rossi e qualche altro erano riusciti a tirare avanti. Dal calcio si erano allontanati, per poi riavvicinarsi di nuovo con l’avvento di De Laurentiis. Dall’anno della serie C, gli affari ricominciarono ad andare di nuovo alla grande. La qualificazione Champions, oltre a De Laurentiis, aveva fatto brillare gli occhi anche a loro, per le aspettative economiche che ne conseguivano. I biglietti per il Villareal, prima partita di Champions in casa dopo ventuno anni, erano andati quasi esauriti il primo giorno. Lo stock di biglietti rimediati da Gianni e Marcello in una maniera che non vi possiamo svelare erano stati venduti a costi proibitivi. La Fede non ha prezzo. Soprattutto quella azzurra. Ma nella foga, Marcello non si era accorto di aver venduto pure il suo biglietto e quello di Gianni. Quando se ne rende conto, pensa di avere le stesse possibilità di sopravvivenza che aveva Gasperini sulla panchina dell’Inter, anche perché, per arrotondare, aveva fittato anche la sua scheda di Mediaset premium e quella di Gianni ad alcuni amici. Mentre Gianni indossa maglietta, sciarpa e cappellino del Napoli, Marcello comincia a invocare tutti i Santi che conosce. “San Giorgio a Cremano, ora pro nobis. Sant’Anastasia, ora pro nobis, Santa Maria Capua Vetere, ora pro nobis. San Giovanni a Teduccio, ora pro nobis. San Giuseppe Vesuviano, ora pro nobis. Santa Maria di Castellabbate, ora pro nobis. San Pasquale a Chiaia, ora pro nobis”. Allorquando si è ridotto ad invocare anche San Gemini, San Pellegrino e San Bitter, si compie il miracolo. Gianni riceve un invito da una insospettabile tifosa. Una modella parte nopea e parte turca, che ha da poco aperto un ristorante di cucina internazionale, la cui specialità sono i puparuoli ‘mbuttunati, che imbottisce in centinaia di modi diversi a seconda della nazionalità del cliente. Gianni, riservandosi di uccidere Marcello dopo la partita, pensa che vedere la partita al ristorante “La Turca napoletana” è l’unica valida alternativa. Arrivati sul posto, Gianni e Marcello rimangono stupiti dall’eleganza del locale e dalla clientela assolutamente selezionata. Notano però, non senza uno scaramantico disappunto, che il locale è infestato anche da numerosi juventini e interisti, e addirittura da un simpatico americano che indossa sotto la giacca la canotta dei Los Angeles Lakers.

Gianni sa con certezza che juventini e interisti portano male, è statisticamente e scientificamente provato, ma sull’incidenza astrale dei supporters dei Lakers è invece impreparato. L’americano però è simpaticissimo, parla con uno slang tutto suo, con un’inflessione chiaramente vesuviana. Gianni vorrebbe andare via, ma la gentilezza delle due splendide padrone di casa, che – oltre a illuminare con i loro sorrisi anche gli ospiti in bianco e nero – portano a tavola ogni ben di Dio, fa ritenere ai due amici che in certi casi bisogna sfidare pure la scaramanzia. Mentre Ivana, la titolare del locale, gli offre delle deliziose polpettine di melanzane, Gianni si informa sul limite massimo di decibel al di là del quale sarebbero considerate intollerabili le proprie urla in caso di goal del Napoli. Ivana gli sorride e gli dice che non c’è alcun limite. Gianni la osserva e pensa che neppure alla bellezza c’è un limite. Intanto, l’altra socia, una ragazza francese con un volto che sembra scolpito nella porcellana, si siede accanto a Marcello e gli offre un risotto con gamberetti e zucchine. Marcello viene colto di sorpresa, come i difensori del Villareal all’affondo di Lavezzi sulla destra. La ragazza gli dice il suo nome, ma Marcello è in visibilio, come il pubblico quando il pallone spiove al centro per Marek Hamsik. Quando lo slovacco scaraventa in rete il pallone il piatto di Gianni sorvola lo spazio aereo occupato dagli interisti. Il suo urlo disumano supera di diverse centinaia di migliaia di decibel il limite consentito dalla normativa in materia. Marcello vorrebbe approfittare del momento per esultare abbracciando la francese con il nome da regina che però lui non ha capito, ma è timido. Gianni abbraccia tutti, anche Maurice, l’americano, che urla “yeeeaaaah” come se Kareem Abdul Jabbar (è l’unico giocatore di basket che conosco) avesse fatto una schiacciata spettacolare.

Pochi minuti dopo, Lavezzi vola sull’altra fascia, gli spagnoli provano a mettergli le catene nel naso, ma il Pocho è inarrestabile e bisogna metterlo per forza giù per fermarlo. L’arbitro belga De Blekeere fischia il calcio di rigore. Il San Paolo diventa una polveriera con la miccia corta, pronta ad esplodere di nuovo. Nel locale “La turca napoletana”, juventini e interisti cominciano a discernere sulla eccessiva brevità della rincorsa di Cavani. Gianni ricorre agli scongiuri debiti e soprattutto a quelli indebiti. In quei tre secondi, Cavani porta sulle spalle sei milioni di napoletani e migliaia di seccie assortite. Quando il pallone gonfia la rete, si gonfia contemporaneamente il petto di milioni di malati di azzurrite spastica, che attendevano questa gioia da tempo immemorabile. Gianni avverte i sintomi di un principio di infarto. C’è gente che è morta per molto meno, ma lui è assolutamente certo che quest’anno succederà l’Imponderabile e quindi stringe i denti più di quanto stringano le coronarie. Gianni, dopo aver visto lo sguardo schifato dei non tifosi napoletani presenti nel locale dopo la sua prima esultanza belluina, al secondo goal si contiene, ma il suo pensiero vola allo stadio dove lo speaker quando segna il Napoli urla per tre volte il nome del marcatore, accompagnato dallo stadio intero. La quarta ne scandisce a gran voce le sillabe, e a lui, in quel momento sembra che CA-VA-NI sia un nome scelto apposta per quel tipo di rituale. Dopo la partita, Gianni e Marcello ringraziano le splendide padrone di casa e salutano tutti, anche gli juventini e gli interisti, ma soprattutto Maurice, l’americano, che gli racconta che, purtroppo, per motivi di lavoro dovrà ritornare a Los Angeles. Maurice ha gli occhi lucidi quando dice di essere triste perché va via da Napoli per tornare nella sua Los Angeles.

Gianni pensa a quanta gente dice di voler scappar via da Napoli e gli stringe la mano. D’altronde siamo alleati! Tra napoletani e americani c'è sempre stato un ottimo feeling, anche se in vero, durante la guerra, ce ne siamo venduti parecchi...

Gianni Puca

domenica 25 settembre 2011

Piccoli ultrà crescono di Gianni Puca

IL CIUCCIO CHE VOLA
Piccoli ultrà crescono
di Gianni Puca

“Vincè, a papà”, ripetiamo da capo. Quanti anni hai?”
“Papà, e già l’ho detto trenta volte, quattro anni li faccio domani”.
“Bravo. E se non ti fanno entrare cosa fai?”
“Mi metto a piangere”.
“Bravissimo”.
“Ciro, ma cusa l’è che gli insegni a questa creatura? A sei anni deve già dire bugie?”, protesta la moglie Ambrogia.
“Ma queste sono bugie bianche, anzi azzurre. A te ti sembra giusto che io ho comprato due abbonamenti soprattutto per portare nostro figlio allo stadio, gli ho comprato la maglietta e il pantaloncino del Napoli, lo zainetto del Napoli, sciarpa, cappellino e bandiera, e – dopo l’inizio del campionato - fanno un provvedimento che stabilisce che i bambini che hanno più di quattro anni pagano il biglietto? E come glielo dico a Vincenzo che non può più venire a vedere le partite?”.
“Si, ma si vede che non tiene quattro anni”, replica Ambrogia.
“Mamma, non ti preoccupare, quando arrivo al tornello, mi piego sulle ginocchia, così… E li faccio fessi. Ma poi, se dicono qualcosa, io gli dico… ma ce l’avete il coraggio di non farmi entrare? E metto il musso”. Ai tornelli, gli addetti al controllo dei biglietti si ricordano che anche loro sono stati bambini e della gioia incontenibile che provavano entrando in quello stadio, e pure il Cerbero più burbero scoppia a ridere quando vede Vincenzo che si nasconde dietro il padre, piegato sulle ginocchia. Gli dà una pacca sulla spalla e gli dice: “L’ho fatto prima di te, non mi fai fesso, ma ti faccio entrare perché sei figlio di ‘ntrocchia”. Ambrogia fraintende e accenna una protesta, ma Ciro con lo sguardo la invita a tacere.
Appena Vincenzo prende posto sugli spalti, lo speaker annuncia le formazioni, accompagnato dall’intero stadio che scolpisce i nomi dei calciatori nell’aria. Poi il pubblico comincia a cantare: “chi non salta fiorentino è…” Vincenzo comincia a saltellare insieme al resto dello stadio che vibra come una lavatrice, e dice al papà: “Papà, papà, voglio venire tutte le domeniche. È troppo bello!”
La partita è avvincente, ricca di azioni da goal da entrambe le parti. Quando l’arbitro in pochi minuti nega un rigore netto per un fallo di mano in area di Pasqual e uno per atterramento di Hamsik, sugli spalti in molti fanno osservazioni colorite sulla scarsa propensione alla fedeltà della partner dell’arbitro Valeri. Vincenzo chiede al papà come faccia tutta quella gente a sapere che l’arbitro ha le corna.
Ciro gli spiega che, a differenza dei cervi, degli stambecchi e di Goldrake, gli arbitri hanno corna speciali, che tutti riescono a vedere tranne loro.
Durante la partita sul volto del bambino passano in rassegna tutte le sfumature di emozioni possibili. Ciro trascorre l’intera gara a osservare suo figlio, seduto sulle sue ginocchia, e nota quella stessa espressione felice che aveva anche lui quando da piccolo entrava in quel tempio magico. Prova ad immaginare per un attimo a come sarebbe rimasto il bambino se non lo avessero fatto entrare. Il suo pensiero vola alla sua “prima volta” al San Paolo, quando entrò e vide Maradona che si riscaldava palleggiando con la spalla sotto gli occhi allucinati di Celestini. Si ricorda di un altro pareggio tra Napoli – Fiorentina, all’ultima giornata che regalò il primo scudetto al Napoli e la salvezza ai viola. La partita finisce zero a zero, ma Vincenzo è felice.
Non aveva gli occhi azzurri all’andata, al ritorno sì, e continua a ripetere: “Papà, voglio venire tutte le domeniche. È troppo bello!”
Vincenzo gli sorride, e pensa che la felicità di un bambino non ha prezzo. E in attesa che lo capisca anche chi di dovere, Vincenzo continuerà ad avere quattro anni