domenica 25 settembre 2011

Piccoli ultrà crescono di Gianni Puca

IL CIUCCIO CHE VOLA
Piccoli ultrà crescono
di Gianni Puca

“Vincè, a papà”, ripetiamo da capo. Quanti anni hai?”
“Papà, e già l’ho detto trenta volte, quattro anni li faccio domani”.
“Bravo. E se non ti fanno entrare cosa fai?”
“Mi metto a piangere”.
“Bravissimo”.
“Ciro, ma cusa l’è che gli insegni a questa creatura? A sei anni deve già dire bugie?”, protesta la moglie Ambrogia.
“Ma queste sono bugie bianche, anzi azzurre. A te ti sembra giusto che io ho comprato due abbonamenti soprattutto per portare nostro figlio allo stadio, gli ho comprato la maglietta e il pantaloncino del Napoli, lo zainetto del Napoli, sciarpa, cappellino e bandiera, e – dopo l’inizio del campionato - fanno un provvedimento che stabilisce che i bambini che hanno più di quattro anni pagano il biglietto? E come glielo dico a Vincenzo che non può più venire a vedere le partite?”.
“Si, ma si vede che non tiene quattro anni”, replica Ambrogia.
“Mamma, non ti preoccupare, quando arrivo al tornello, mi piego sulle ginocchia, così… E li faccio fessi. Ma poi, se dicono qualcosa, io gli dico… ma ce l’avete il coraggio di non farmi entrare? E metto il musso”. Ai tornelli, gli addetti al controllo dei biglietti si ricordano che anche loro sono stati bambini e della gioia incontenibile che provavano entrando in quello stadio, e pure il Cerbero più burbero scoppia a ridere quando vede Vincenzo che si nasconde dietro il padre, piegato sulle ginocchia. Gli dà una pacca sulla spalla e gli dice: “L’ho fatto prima di te, non mi fai fesso, ma ti faccio entrare perché sei figlio di ‘ntrocchia”. Ambrogia fraintende e accenna una protesta, ma Ciro con lo sguardo la invita a tacere.
Appena Vincenzo prende posto sugli spalti, lo speaker annuncia le formazioni, accompagnato dall’intero stadio che scolpisce i nomi dei calciatori nell’aria. Poi il pubblico comincia a cantare: “chi non salta fiorentino è…” Vincenzo comincia a saltellare insieme al resto dello stadio che vibra come una lavatrice, e dice al papà: “Papà, papà, voglio venire tutte le domeniche. È troppo bello!”
La partita è avvincente, ricca di azioni da goal da entrambe le parti. Quando l’arbitro in pochi minuti nega un rigore netto per un fallo di mano in area di Pasqual e uno per atterramento di Hamsik, sugli spalti in molti fanno osservazioni colorite sulla scarsa propensione alla fedeltà della partner dell’arbitro Valeri. Vincenzo chiede al papà come faccia tutta quella gente a sapere che l’arbitro ha le corna.
Ciro gli spiega che, a differenza dei cervi, degli stambecchi e di Goldrake, gli arbitri hanno corna speciali, che tutti riescono a vedere tranne loro.
Durante la partita sul volto del bambino passano in rassegna tutte le sfumature di emozioni possibili. Ciro trascorre l’intera gara a osservare suo figlio, seduto sulle sue ginocchia, e nota quella stessa espressione felice che aveva anche lui quando da piccolo entrava in quel tempio magico. Prova ad immaginare per un attimo a come sarebbe rimasto il bambino se non lo avessero fatto entrare. Il suo pensiero vola alla sua “prima volta” al San Paolo, quando entrò e vide Maradona che si riscaldava palleggiando con la spalla sotto gli occhi allucinati di Celestini. Si ricorda di un altro pareggio tra Napoli – Fiorentina, all’ultima giornata che regalò il primo scudetto al Napoli e la salvezza ai viola. La partita finisce zero a zero, ma Vincenzo è felice.
Non aveva gli occhi azzurri all’andata, al ritorno sì, e continua a ripetere: “Papà, voglio venire tutte le domeniche. È troppo bello!”
Vincenzo gli sorride, e pensa che la felicità di un bambino non ha prezzo. E in attesa che lo capisca anche chi di dovere, Vincenzo continuerà ad avere quattro anni

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